In Lombardia si discute del futuro dei centri di terapia del dolore. Ma confondere questo ambito con le cure palliative rischia di essere un passo indietro per la medicina e per i diritti dei pazienti

Due mondi distinti da non confondere: perché la terapia del dolore non è una cura palliativa

In queste settimane si stanno moltiplicando, in Lombardia, proposte e discussioni sull’assetto organizzativo dei centri di terapia del dolore. Tra queste, vi è l’ipotesi – avanzata da alcuni settori ospedalieri – di far confluire la terapia del dolore nell’ambito delle cure palliative, trasformandola di fatto in un servizio socio-sanitario.

Come Associazione Nevra, riteniamo che una simile prospettiva rappresenti un passo indietro sul piano clinico, scientifico e dei diritti dei pazienti.

La Legge 38/2010 ha chiarito che la terapia del dolore e le cure palliative sono due percorsi distinti e complementari:

  • le cure palliative si rivolgono a chi si trova in fase avanzata o terminale di malattia, con l’obiettivo di garantire conforto e qualità di vita;
  • la terapia del dolore, invece, si occupa della diagnosi e del trattamento del dolore cronico in tutte le sue forme, anche quando la malattia non è evolutiva o terminale.

Sovrapporre i due ambiti significa negare la specificità clinica della terapia del dolore e indebolire la sua funzione di tutela per migliaia di pazienti affetti da dolore cronico neuropatico post-traumatico, che non rientrano né nel perimetro delle cure palliative né nel socio-sanitario.

Dietro questa spinta all’assorbimento si celano, verosimilmente, logiche organizzative ed economiche: l’allargamento del bacino di utenza, la gestione dei fondi territoriali e la possibilità di accedere a nuovi flussi di finanziamento e di potenziare percorsi formativi universitari oggi in difficoltà.

Tuttavia, l’interesse per le risorse non può prevalere sull’interesse del paziente.

La terapia del dolore è, e deve restare, una disciplina specialistica, con competenze mediche avanzate, protocolli propri e centri dedicati. Indebolirla significherebbe frammentare la presa in carico, ridurre la qualità diagnostica e compromettere l’uniformità dei percorsi terapeutici.

Nevra ribadisce la necessità di:

  • mantenere un coordinamento regionale autonomo per la terapia del dolore;
  • riconoscere ai centri accreditati la qualità diagnostica certificata, come previsto dalla Delibera X/4610 del 10 gennaio 2013;
  • assicurare ai cittadini lombardi un diritto reale alla cura del dolore, distinto ma complementare rispetto alle cure palliative.

Il futuro della sanità lombarda non ha bisogno di sovrapposizioni, ma di reti che collaborino nel rispetto delle proprie competenze.

Confondere i due ambiti significa creare zone grigie; difenderne l’autonomia, invece, significa dare dignità a entrambi: alle cure palliative e alla terapia del dolore.

Difendere la distinzione non vuol dire dividere, ma riconoscere la dignità di due percorsi che condividono lo stesso fine: alleviare la sofferenza, in tutte le sue forme.

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