La valutazione del danno biologico si fonda tradizionalmente su parametri medico-legali che hanno come riferimento lesioni organiche obiettivabili. Tuttavia, il dolore neuropatico mette in crisi questo modello: non si presenta come mero sintomo di una lesione, ma come condizione clinica autonoma, spesso resistente ai trattamenti e capace di incidere stabilmente sulla qualità della vita.
Il problema è evidente: come tradurre giuridicamente una sofferenza soggettiva, non sempre correlata a un danno anatomico visibile, in un punteggio tabellare?
Le scale del dolore (VAS, NRS, DN4) offrono strumenti di rilevazione clinica, ma non bastano, se non vengono integrate in un quadro valutativo che tenga conto della persistenza, della refrattarietà terapeutica e dell’impatto funzionale.
In sede risarcitoria, questo significa superare l’idea che solo ciò che è misurabile con esami strumentali meriti riconoscimento. Il dolore neuropatico impone un cambio di paradigma: dal dato oggettivo al fatto giuridicamente rilevante della percezione dolorosa, che diventa elemento qualificante del danno biologico.
Non si tratta di ampliare arbitrariamente le voci risarcitorie, ma di rendere coerente la liquidazione con l’evoluzione scientifica e con il principio di integrale ristoro. Perché il dolore cronico non è un’ombra soggettiva, ma una realtà che, se ignorata, rischia di tradursi in una ingiustizia strutturale.
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