Nel dibattito clinico e giuridico sul dolore neuropatico si osserva spesso un fraintendimento concettuale: la cronicità non costituisce l’elemento qualificante della sindrome dolorosa neuropatica periferica.
Il dato epidemiologico e clinicamente rilevante è la neuropatia, ossia la lesione o disfunzione del sistema nervoso periferico che genera il dolore.
La cronicità, invece, è un criterio temporale (dolore persistente oltre i tre mesi) e non un attributo intrinseco della patologia.
Attribuire alla cronicità una valenza clinica autonoma o, peggio, un carattere di irreversibilità, significa alterare la corretta prospettiva diagnostica e terapeutica.
La sindrome dolorosa neuropatica non è per definizione irreversibile: esistono ampie evidenze di remissione parziale o completa del dolore, in particolare nei casi di neuropatia periferica trattati in modo precoce e multidisciplinare.
Dal punto di vista medico-legale e giuridico, questa distinzione è fondamentale:
- sul piano clinico, evita la patologizzazione impropria del termine “cronico”;
- sul piano giuridico, consente una corretta valutazione del danno e delle prospettive terapeutiche del paziente.
Il dolore che dura non è sempre un dolore senza via d’uscita.
E comprendere questa differenza è il primo passo per restituire al paziente — e al diritto — una visione realmente fondata sulla prognosi e sulla reversibilità clinica.
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