Dal trauma al dolore cronico: un percorso di valutazione medico-legale

Parlare di dolore in medicina legale significa affrontare una rivoluzione culturale e valutativa: il passaggio da sintomo accessorio a malattia autonoma. Non è più possibile considerare il dolore cronico semplicemente come un accompagnamento alla lesione originaria; oggi è riconosciuto come causa a sé di invalidità, capace di limitare radicalmente la vita fisica, lavorativa e sociale di chi lo subisce.

Questo cambiamento richiede al medico legale un approccio rigoroso e personalizzato. Occorre innanzitutto accertare l’origine del dolore, distinguendo tra le componenti sensoriali, emotive, cognitive e comportamentali, per non confondere la reale sofferenza con eventuali distorsioni percettive o secondi fini. Successivamente, la valutazione della gravità del dolore non può limitarsi all’intensità percepita ma deve considerare il suo impatto sulla funzionalità e sull’autonomia della persona. Infine, è necessaria una corretta collocazione nella quantificazione del danno, riconoscendo quando il dolore cronico richieda un incremento della valutazione percentuale oppure una valutazione autonoma come malattia post-traumatica a sé stante.

Il dolore cronico, infatti, ha una sua fisiopatologia indipendente che può persistere anche dopo la risoluzione del trauma o della patologia iniziale, con meccanismi neurofisiologici che alimentano la sofferenza, trasformandola in un limite oggettivo per la persona. Si tratta di una condizione che interferisce, arresta o abolisce le attività quotidiane, amplificando l’ipofunzionalità e riducendo la validità della persona nel suo progetto di vita.

La normativa e le più recenti acquisizioni scientifiche spingono verso una personalizzazione del danno biologico, abbandonando automatismi e calcoli matematici rigidi in favore di una valutazione che rispecchi fedelmente la realtà clinica e umana del dolore cronico. Non si tratta di “aggiungere punti” in modo meccanico, ma di riconoscere il dolore come una condizione che limita la libertà, la dignità e la piena partecipazione dell’individuo alla vita sociale e lavorativa.

Il dolore, dunque, non è soltanto una percezione soggettiva, ma un elemento che esige attenzione e responsabilità nel percorso valutativo medico-legale, per garantire al cittadino non solo un risarcimento equo, ma anche il riconoscimento della propria condizione di sofferenza, come segno concreto di tutela della persona.

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