Nel sistema italiano della responsabilità civile, la centralità della persona è da tempo affermata a livello normativo e costituzionale. Ma è davvero così anche nei fatti, quando parliamo di dolore cronico?
La medicina scientifica lo ha riconosciuto da anni: il dolore cronico è una patologia autonoma, con basi neurofisiologiche complesse, spesso persistente oltre la guarigione clinica dell’evento scatenante. Non è più (solo) un indice soggettivo di malessere: è un danno alla salute permanente, che compromette l’identità, la progettualità, la vita relazionale e lavorativa della persona.
Eppure, nella pratica medico-legale e nella giurisprudenza applicativa:
il dolore è incluso, diluito, “assorbito” nelle valutazioni percentuali;
è riconosciuto solo se accompagnato da menomazioni visibili o funzionali;
raramente assume autonomia valutativa come voce di danno biologico.
🔎 Questo approccio è coerente con l’evoluzione della medicina? Con i principi costituzionali di tutela integrale della persona? Con il dovere di personalizzare la giustizia risarcitoria, che non può ignorare ciò che non si vede ma che esiste?
📚 Le tabelle oggi vigenti – da quelle INAIL alla tabella unica per RC auto – mostrano una lacuna strutturale: non danno cittadinanza autonoma al dolore stabilizzato come patologia e come lesione giuridica.
🛑 Il rischio? Una forma di discriminazione sanitaria e giuridica verso milioni di persone affette da sindromi dolorose croniche – incluse neuropatie post-traumatiche, sindromi da deafferentazione, CRPS – che, pur senza esiti ortopedici evidenti, vivono una disabilità reale, continua e invalidante.
📌 È tempo di rimettere al centro una domanda fondamentale:
👉 La sofferenza persistente, clinicamente diagnosticata, può (e deve) diventare oggetto di valutazione autonoma nella quantificazione del danno alla persona?
Nevra si fa promotrice di una riflessione giuridica e medico-legale nuova, affinché anche il dolore invisibile trovi posto nel bilancio di giustizia.
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