In ambito clinico siamo abituati a distinguere tra dolore nocicettivo e dolore neuropatico. Ma quando ci spostiamo sul terreno della medicina legale, questa distinzione assume un peso ancora più rilevante.
Il dolore neuropatico nasce da una lesione o disfunzione del sistema somatosensoriale: nervi periferici, radici, midollo o strutture centrali. Se questa lesione è dimostrabile — attraverso diagnostica strumentale, esami neurofisiologici o criteri clinici consolidati — non si tratta più “solo” di dolore, ma dell’espressione di un danno anatomico permanente. In altre parole, il sistema nervoso lesionato diventa l’organo danneggiato a tutti gli effetti.
Non sempre, però, la correlazione è così lineare. Ci sono situazioni in cui la sintomatologia dolorosa è presente e invalidante, ma mancano prove oggettive di un danno strutturale stabile. In questi casi, pur riconoscendo la sofferenza del paziente, la dimensione medico-legale tende a classificare la condizione come danno funzionale, non come lesione d’organo.
La differenza è tutt’altro che teorica: incide sulle valutazioni tabellari, sulla quantificazione del danno biologico, sull’inquadramento assicurativo e previdenziale.
Per questo diventa fondamentale lavorare con un approccio integrato, che unisca competenze cliniche, medico–legali e diagnostiche, per evitare sia sottovalutazioni sia sovrastime del danno.
Il dolore neuropatico non è semplicemente “dolore”: quando è legato a un danno permanente del sistema somatosensoriale, rappresenta l’esito di una vera lesione d’organo. Riconoscerlo — e documentarlo correttamente — fa la differenza per il paziente e per la giustizia sanitaria.