Come avvocati, sappiamo bene quanto il concetto di danno non patrimoniale sia evoluto, soprattutto dopo le sentenze di San Martino del 2008. Un danno che, da allora, non si esaurisce più nella dicotomia biologico/morale, ma si apre a una visione più ampia, unitaria nella struttura, articolata nelle manifestazioni.
Ma questa apertura teorica è sufficiente a dare tutela a forme di sofferenza persistente e non immediatamente misurabile, come il dolore neuropatico cronico?
Parliamo di una condizione clinica che spesso si sviluppa a seguito di un trauma o di un danno nervoso, che persiste anche dopo la risoluzione della lesione iniziale, condizionando profondamente la vita del soggetto.
La domanda è giuridica e urgente:
Il dolore neuropatico può essere inquadrato come pregiudizio autonomo risarcibile?
Diversi spunti normativi ci offrono riflessioni interessanti:
- Art. 32 Cost. → tutela della salute come diritto fondamentale e inviolabile, anche nella sua dimensione soggettiva e relazionale.
- Legge 38/2010 → riconosce il dolore cronico come problema clinico autonomo, da gestire indipendentemente dalla patologia organica sottostante.
- Cass. Civ. n. 13592/2022 → afferma che la cronicità del dolore può produrre una invalidità autonoma, anche in assenza di segni obiettivi o tradizionali parametri medico-legali.
- Art. 2059 c.c. + Art. 185 c.p. → rendono risarcibile il danno non patrimoniale derivante da illecito, anche laddove si tratti di sofferenze soggettive dimostrabili.
- Art. 3 CEDU → apre il dibattito sul concetto di trattamento degradante, applicabile nei casi di negazione istituzionale del dolore persistente.
In questo contesto, il dolore neuropatico non può più essere relegato a postilla clinica o risvolto marginale del danno biologico. È un fatto lesivo della persona che merita una valutazione specifica e autonoma, se correttamente documentato (es. scale VAS, questionari DN4, relazioni specialistiche, impatto sulle capacità relazionali, lavorative, affettive).
Come operatori del diritto, possiamo e dobbiamo proporre un cambio di paradigma: non un’estensione arbitraria delle voci di danno, ma un ritorno all’essenziale – alla funzione primaria del risarcimento: riconoscere, dare voce, riparare.
Avete già avuto casi simili? In che modo la magistratura si è posta di fronte a situazioni di dolore neuropatico cronico?
Puoi condividere esperienze scrivendo a Nevra o commentando il nostro post su Linkedln. Perché anche il dolore che non si vede ha bisogno di parole, prima che di sentenze.