La maggior parte delle persone si rivolge a un medico per un solo motivo: soffre. È il dolore a spingerle a cercare risposte, soluzioni, cure. Il dolore è il campanello d’allarme che segnala un problema e, a volte, è la sola traccia tangibile di una malattia ancora sconosciuta.
Ma cosa succede quando quel dolore persiste, nonostante le cure? Quando la causa non è chiara, o addirittura assente, e la sofferenza continua a condizionare la vita quotidiana?
La medicina clinica prova a lenirlo.
La medicina legale è chiamata a valutarlo.
E il diritto dovrebbe riconoscerlo.
Eppure, il dolore fisico, per quanto reale e invalidante, fatica a trovare spazio nelle attuali griglie medico-legali: non sempre viene considerato come danno autonomo, né come aggravante delle menomazioni organiche. Un vuoto che rischia di negare dignità a milioni di persone.
Se vogliamo davvero tutelare la salute nella sua interezza, dobbiamo ripensare i criteri di valutazione del danno. E dare voce a quella branca troppo spesso trascurata: la medicina legale clinica. Perché solo chi ascolta il paziente può raccontarne la verità.
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