Dal danno morale al riconoscimento del dolore neuropatico come malattia: una riflessione necessaria

Il danno morale è da tempo riconosciuto nel nostro ordinamento, nonostante la sua natura eminentemente soggettiva. Si tratta, infatti, di una sofferenza interiore, priva di riscontri oggettivi, che il giudice valuta e risarcisce in base alla narrazione della persona danneggiata, alla coerenza del racconto, alla sua credibilità e, ove presenti, agli elementi circostanziali. Nessun esame strumentale può rilevarlo. Nessuna lastra ne mostra la profondità. Eppure è reale. Ed è tutelato.

Da questa consapevolezza, già radicata nel nostro sistema giuridico, nasce la necessità di una riflessione che vada oltre: se accettiamo e risarciamo il dolore interiore in quanto tale, perché fatichiamo a riconoscere il dolore neuropatico cronico come malattia autonoma, ancorché soggettiva e difficilmente misurabile?

Il dolore neuropatico è un dolore che si genera dal sistema nervoso stesso, spesso in assenza di un danno organico visibile. È un dolore persistente, invalidante, che modifica la vita delle persone, compromette le relazioni, erode il lavoro, ridisegna la quotidianità. Ma soprattutto, è un dolore che non si vede. E questa invisibilità lo rende sospetto, lo relega troppo spesso nell’ambito dell’incomprensione, quando non addirittura del pregiudizio.

Eppure, proprio la giurisprudenza sul danno morale ci insegna che la soggettività non è una barriera alla tutela, ma semmai una sfida di civiltà. Come accade con la sofferenza psichica, anche il dolore neuropatico richiede un cambio di paradigma: non si può più attendere la conferma oggettiva per riconoscere la malattia. Occorre fidarsi della narrazione del paziente, supportata da una diagnosi clinica specialistica, e riconoscere la sua realtà vissuta come fatto sanitario e giuridico.

Nevra propone quindi un salto culturale e normativo: l’inserimento del dolore neuropatico cronico nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e la sua piena legittimazione come malattia, anche in assenza di segni clinici tradizionali. Un riconoscimento che non è solo sanitario, ma anche sociale e giuridico, affinché chi soffre non sia più costretto a dimostrare l’indimostrabile.

Abbiamo già accettato che il dolore morale meriti tutela, pur essendo invisibile. È tempo che anche il dolore neuropatico trovi lo stesso spazio di legittimità. Perché ciò che non si vede può fare più male di ciò che si vede. E il diritto non può rimanere cieco di fronte alla sofferenza reale delle persone.

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